L’Olocausto sul lago Maggiore

Qualche settimana fa noi di terza siamo stati a Domodossola a vedere la mostra “L’Olocausto del lago Maggiore”, un’esposizione che ci ha aperto gli occhi sul fatto che terribili stragi di ebrei sono successe anche in luoghi molto vicini a noi, per esempio a Meina…

Ecco i nostri commenti a caldo, appena tornati a casa…

“Mi ha colpito sentire raccontare l’episodio in cui dei nazisti hanno ordinato a un prete di alzare le braccia, ma non poteva perché gliele avevano strappate, allora una suora le ha alzate per lui: tremendo!”, dice Veronica.

“Quando gli ebrei sopravvissuti ai lager testimoniavano nei processi portavano con sé una pietra, simbolo di memoria”,  racconta Andrea.

“Ogni paese reagiva in modo differente all’arrivo dei tedeschi: c’erano comuni che cercavano di difendere e nascondere gli ebrei, mentre altri li lasciavano prendere…”, riflette Serena.

“La cosa che mi ha impressionato di più è stato il racconto del pescatore che ha trovato la sua barca capovolta nel lago con sotto due teste di ebrei uccisi dai nazisti”, ricorda Enzo.

Claudia è stata toccata dalla storia di una famiglia di Gressoney: “Uno dei figli era venuto a Verbania per avvicinarsi il più possibile al confine con la Svizzera e scappare, ma i tedeschi lo trovano e lo catturano, poi avvisano i genitori che corrono a Intra per aiutare il ragazzo, ma lo trovano morto…”.

Francesco pensa a quanto sia stata dura la vita che “gli ebrei dovevano vivere, ma soprattutto per i bambini, che dopo le leggi razziali non potevano andare a scuola, una cosa che per noi è la normalità…”.

“Quello che mi ha colpito – afferma Greta – è stato il racconto di una sopravvissuta che descriveva nei minimi dettagli tutto ciò che era successo nell’albergo di Meina, quando i soldati si sono messi davanti alla porta dell’hotel per non farli uscire…”.

“Mi ha fatto pensare la storia della famiglia Covo – dice Beatrice – con la figlia adulta che si è salvata per caso perché il giorno del rastrellamento non era in casa… se quel giorno non fosse uscita, molto probabilmente sarebbe stata deportata insieme alla sua famiglia…”.

“In particolare – afferma Mattia – mi ha sorpreso la storia del parroco che ha fondato una scuola per gli ebrei, pur essendo di un’altra religione…”.

A Melania è piaciuta l’intervista a Becky Behar “perché ho capito veramente ciò che provava in quel momento, tristezza, ma era anche scioccata e spaesata a causa dei tedeschi che erano entrati nell’hotel…”.

“Mi ha colpito quando la relatrice ci ha spiegato che i nazisti prendevano i cadaveri degli ebrei e li portavano in posti sconosciuti e facevano di tutto per nascondere i corpi”, dice Bogdan.

“Mi ha molto toccato la storia di una famiglia ebrea di Torino:  nel 1943 i genitori capirono che dovevano scappare dall’Italia e allora diedero 10.000 lire al figlio, cucendogliele all’interno del suo cappotto, e lo mandarono in Ossola perché si diceva che fosse più facile passare il confine da lì. Il figlio prese il treno ma venne imprigionato. In caserma fu torturato e poi ucciso. Quella sera i cittadini sentirono spari soffocati e puzza di carne bruciata”, ricostruisce Tobia.

“Mi hanno colpito tutti i racconti, in particolare quello dei nazisti che andavano nei paesi attorno al lago Maggiore e rapinavano gli ebrei dei loro averi e poi li uccidevano, ma questi soldi li tenevano per sé e non li davano allo stato”, dice Matteo.

“Anche se sembrerà banale, a me ha colpito la testimonianza di Becky Behar. Mi ha fatto riflettere il modo in cui raccontava quel periodo atroce della sua vita, si percepiva che ancora dopo molto tempo non riusciva ad andare del tutto avanti”, dice Anja.

Fortunatamente, ci sono state anche storie a lieto fine. Per esempio a Samuele è piaciuto che “il governatore turco di quell’epoca sia andato a Baveno per liberare un cittadino ebreo e ha lottato fino alla fine per salvarlo”.

“Non dimenticherò facilmente la testimonianza dell’Hotel Meina e la descrizione di cosa hanno fatto i soldati tedeschi quando sono arrivati all’albergo”, sostiene Daniele.

Anna non dimenticherà “sia le cose che hanno spiegato sia come le hanno spiegate perché le relatrici sono state molto efficaci e sono riuscite a far arrivare forte e chiaro il messaggio. La cosa che mi ha colpito di più è stata che gli Ebrei non venivano accettati neanche in Svizzera (o meglio, non tutti) perché la Svizzera, come paese neutrale, aveva paura delle conseguenze e alcune volte preferiva stare a guardare piuttosto che aiutare le persone in difficoltà e che rischiavano la vita… Questa cosa non la sapevo: mi ha colpito molto e fatto riflettere su tutto ciò che succede nel mondo”.

La 3^A

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