Istituto Comprensivo "A. TESTORE" - Santa Maria Maggiore (VB)

 

… C’erano una volta … e ci sono ancora i noccioli! Siamo arbusti con molti fusti che partono dalla ceppaia con la chioma densa e fortemente ombreggiante.

La nostra è una grande famiglia, la famiglia delle Betullacee e comprende più di cento specie! Noi in particolare, col carpino, apparteniamo alle Coriacee.

Io sono il nocciolo. Il mio nome specifico è Corylus Avellana ed è di origine latina. In dialetto mi chiamo Nizzulè, in inglese Hazel o Filbert, in francese Noisetier o Coudrier, in tedesco Nussbaum!

 

Non ho un vero e proprio tronco ma tanti rami fin alla base con una corteccia lucida, di color bruno-ramato con lenticelle molto evidenti quando ricopre parti giovani; poi, con l’avanzare dell’età, si fessura. I giovani rami portano fitti peli ghiandolosi.

 

 

Il mio fogliame è assai denso e presenta foglie semplici e caduche, disposte in modo alterno sui rami, che hanno picciolo breve e ghiandoloso, lamina ellittica o tondeggiante con base cuoriforme, apice bruscamente acuto, margine doppiamente dentato; sono pelose e morbide quando sono giovani.

 

Sono una specie di modesta taglia e solo raramente supero i sette-otto metri.

Ho radici che si adattano a ogni tipo di terreno e sopporto molto bene la potatura, tanto che rigetto con molto vigore polloni anche dalle radici.

I miei fiori si sviluppano molto prima della emissione delle foglie, tra marzo ed aprile e l’impollinazione avviene ad opera del vento. I fiori maschili mancano di calice, sono protetti da tre scaglie e si riuniscono in ameni penduli, allungati, senza peduncolo, molto vistosi, prima di color rosato, poi gialli a maturità, inseriti all’estremità dei rami. I fiori femminili, solitari o riuniti in gruppetti di quattro al massimo, hanno l’aspetto di una gemma, ma il ciuffetto purpureo degli stigmi posto alla loro estremità tradisce la loro natura.

Nel mio caso però impollinazione non significa fecondazione: i granelli pollinici emettono il budello ma questo non arriva a contatto degli ovuli, bensì resta in stato di vita latente. Solo in aprile o in maggio avvengono i fenomeni della fecondazione.

 

 

Il mio frutto è una noce ovoidale o sferoidale del diametro di un centimetro o un centimetro e mezzo, con guscio duro e ligneo, e dentro i grossi cotiledoni di consistenza dura, bianchi e carichi di riserve nutritive. Ma ecco un particolare: il mio frutto o i miei frutti aggregati in scarso numero, sono avvolti da grandi brattee fogliacee, lacerate e sfrangiate, ma non saldate né prolungate tanto da impedire la piena visibilità del frutto che giunge a maturazione verso la fine dell’estate.

Amo abitare in terreni freschi e profondi, ricchi di humus; ma, non essendo particolarmente esigente, mi adatto anche ad ambienti inospitali con pendenza elevata e abbondante pietrosità superficiale: mi posso definire pianta pioniera di terreni degradati! Prediligo un clima caldo e moderato preferibilmente secco in estate, tuttavia sono piuttosto resistente al freddo.

Sono presente su tutto il territorio italiano dal piano basale fino a 1700 metri di altezza. I popolamenti della mia famiglia sono diffusi in quasi tutta Europa (ad eccezione della regione scandinava), nel Caucaso, nell’Asia Minore e in Algeria.

I miei vicini di casa sono la betulla, il frassino (come specie pioniera), il faggio, il cerro e l’abete ed annovero innumerevoli compagni nel sottobosco.

Vengo anche coltivato (soprattutto in Piemonte, nel Viterbese, nell’Irpinia e sulle pendici dell’Etna) sia per le mie preziose nocciole, sia come siepe divisoria.

In campo forestale sono prezioso per il consolidamento dei versanti collinari instabili.

Ho molti amici: cervi e caprioli che ogni tanto mi brucano le foglie, tanti roditori e tanti uccelli a cui offro cibo a volontà!

Vanto origini molto antiche! Ero già presente in Europa appena terminate le glaciazioni (nelle torbiere si sono trovati i mie pollini fossili) ed ho avuto una diffusione così consistente in un periodo caldo-secco tanto da dargli addirittura il mio nome: PERIODO DEL NOCCIOLO.

Ho nutrito i popoli del Neolitico nelle stagioni più avare di frutti e di alimenti vegetali: ero infatti a quei tempi uno dei pochi frutti conservabili.

Ero presente anche nelle tombe romane, mi consideravano una specie di viatico per l’Oltretomba.

Noi noccioli siamo grandi lavoratori, pensate che in Italia produciamo ogni anno da 300 a 700 migliaia di quintali di nocciole destinate al consumo allo stato fresco o alla trasformazione industriale: l’industria dolciaria utilizza i nostri frutti per la produzione di nocciolati, di torroni e della pasta gianduia.

Siamo anche capaci di produrre un olio che viene utilizzato in campo cosmetico e in pittura.

Pure il nostro legno è utile! Con esso si fabbricano bastoni, sostegni, pipe, ceste, manici di attrezzi; il carbone che si ricava dai nostri polloni serve per la preparazione della polvere pirica e dei carboncini per disegno.

Sono molto apprezzato dalla medicina popolare. L’infuso che si ottiene con i miei fiori è diaforetico (provoca cioè sudorazione) e febbrifugo, il decotto di corteccia viene utilizzato contro le febbri intermittenti e come impacco contro le vene varicose: pare che la mia corteccia abbia proprietà astringenti! I miei semi infine agiscono contro la clorosi e l’anemia.

Ora vi svelo un segreto: streghe e maghi fabbricano le loro bacchette magiche con i miei rami!

 

 

Un tempo anche le bacchette dei rabdomanti, coloro che cercano l’acqua, dovevano essere fatte con il mio legno.

La cultura popolare mi considera uno degli alberi di buon augurio, come vuole il mio PAN. In Germania ero simbolo di fecondità e perciò si offrivano nocciole alle spose novelle.

 

Si credette pure che io non venissi mai colpito dal fulmine, per grazia della Madonna che recandosi a visitare la cugina Elisabetta trovò sotto ad un mio antenato riparo dal temporale improvvisamente scoppiato.

C’è un poeta che amo molto, Gabriele D’Annunzio, il quale nella sua poesia “I pastori” mi ha riservato un verso!

I PASTORI

 

Settembre, andiamo. E’ tempo di migrare.

Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori

lascian gli stazzi e vanno verso il mare

scendono all’Adriatico selvaggio

che verde è come i pascoli dei monti.

 

Han bevuto profondamente ai fonti

alpestri, che sapor d’acqua natia

rimanga ne’ cuori esuli a conforto

che lungo illuda la lor sete in via.

Rinnovato hanno la verga d’avellano.

 

E vanno pel tratturo antico al paino,

quasi per un erbal al fiume silente

su le vestigia di antichi padri.

O voce di colui che primamente

conosce il tremolar della marina!

 

Ora lungh’esso il litoral cammina

la greggia. Senza mutamento è l’aria.

Il sole imbiondì si la viva lana

che quasi dalla sabbia non divaria.

Isciacquio, calpestio, dolci rumori.

Ah perché non son io co’ miei pastori?

 

e … si! I pastori abruzzesi, a settembre quando lasciano i monti per scendere verso il mare, si procurano un nuovo bastone (verga) di nocciolo per guidare il gregge.