Istituto Comprensivo "Andrea Testore" - S. Maria Maggiore (VB)

 

GLI UCCELLI

Per la verità stiamo percorrendo la “scala zoologica” a ritroso, sì perché i Mammiferi sono al vertice dell’evoluzione animale e, con gli Uccelli, rappresentano i Vertebrati omeotermi, Pettirosso cioè gli unici che riescono a mantenere costante la temperatura corporea. D’altra parte mammiferi e uccelli sono generalmente gli animali che più ci colpiscono per le dimensioni, i colori, la comunicazione vocale, il comportamento. 

L’ambiente del bosco è il loro regno! Nel bosco misto di conifere e latifoglie, ricco di muschi e cortecce marcescenti, dove gli abeti si alternano ai faggi, agli ontani, ai noccioli si odono il Tordo, la Passera scopaiola, si ode il trillo del solitario Pettirosso. Preferenze montane hanno anche la Tordela e il Ciuffolotto, uccello dal canto molto flebile che nidifica fra i rami di abete e depone le uova di un blu molto pallido. I Crocieri, simili a variopinti fringuelli, frugano tra le pigne delle conifere a lungo, senza stancarsi. Dalla cima di un larice si sente scandire il tac-tacCincia dal ciuffo allegro dello Stiaccino, uccello dal petto fulvo e dal sopracciglio bianco, emigrante stagionale dalle uova di un bel turchese. Troppi per ricordarli tutti! Le Cince, il Frosone, il Codirosso spazzacamino, i piccolissimi Regolo e Scricciolo, il Cuculo grande opportunista! Può capitare di veder muovere su un albero qualcosa che sembra far parte dell’albero stesso: il Francolino di monte o Pollo dei noccioli, misterioso e decisamente forestale galliforme, sta rannicchiato contro il tronco, perfetto nella sua omocromia. Ed ora un vero ginnasta che eccelle nel saliscendi sui tronchi, nel correre in tutti i sensi sulla corteccia degli alberi con l’aiuto dei robusti unghioni di cui sono dotate le sue dita: è il Picchio muratore che usa le nicchie scavate dagli altri picchi ma le rifinisce rimpicciolendo l’entrata con palline impastate di saliva. Si nutre di insetti delle fessure delle cortecce e, in autunno, ricerca i semi delle conifere e dei noccioli di cui è goloso. L’abbondanza di insetti sui tronchi fornisce Picchio rosso maggiore una ricca fonte di cibo  anche ad altri uccelli come i Rampichini alpestri, che per cercarli nelle fessure fanno su e giù per i tronchi come se salissero su una scala a chiocciola (veri “topini degli abeti”) e come i picchi. A proposito di picchi ...  nel bosco echeggia un crepitio, un tambureggiamento: può essere un Picchio rosso maggiore bianco e nero, rosso sotto la coda, della grossezza di un merlo che martella il tronco di un abete in alto per marcare il suo territorio oppure più in basso per ricavare il nido. Il Picchio nero, il più grosso, abbastanza raro, sale oltre gli ultimi faggi perché predilige le grandi abetaie di abete rosso e bianco. Nel sottobosco le arvicole possono imbattersi, scorrazzando nei propri labirinti sotterranei, nelle “riserve” della Nocciolaia, uccello grande come una gazza che, dopo aver fatto copiosa incetta di pinoli di cui è ghiotta, va a nasconderle ai piedi dei tronchi, sotto le radici o nelle fessure delle rocce. La mania di nascondere le prede, ghiande, cavallette o altri insetti sotto il fogliame o anche nelle fessure della corteccia degli alberi, per ricercarle qualche tempo dopo, è tipica anche della GhiandaiaGhiandaia, grande come un piccione ma con testa e becco più robusti. I suoi colori, rosso, bianco e nero sono brillanti; le ali pennellate di blu. Nella penombra del sottobosco si può a fatica intravedere la Beccaccia, regina del mimetismo perché con il suo piumaggio color foglie morte riesce a covare indisturbata le sue uova giallastre picchiettate di rosso; quando si muove sull’umido morbido suolo del sottobosco conficca nella terra il becco simile a una spada e, grazie all’estrema sensibilità della punta, può scoprire i vermi viventi nel suolo e nel frattempo vedere al di sopra e dietro di sé gli eventuali predatori. E chi fruga il terreno in cerca di lombrichi? Forse un Merlo dal collare. E chi se ne va frequentemente sul terreno a caccia di formiche? E’ il Picchio verde uccello di bosco aperto che sa estroflettere la lingua vischiosa per alcuni centimetri oltre la punta del becco: è, tra i picchi, quello che non tambureggia i tronchi, ma penetra con la lingua nei nidi di formiche o nelle fessure dove si annidano le larve di coleotteri.

Su arbusti e cespugli spinosi, al limite dei boschi, nidifica l’Averla piccola dal caratteristico comportamento di infilzare le proprie prede, per lo più insetti, sulle spine dei rovi: in questo modo originale li mette “in dispensa”. In terreni aperti, vicino ai pascoli, è presente l’Upupa dal caratteristico ciuffo di penne sul capo. Le rive dei torrenti ospitano alcune specie di avifauna acquatica come il Merlo acquaiolo, la Ballerina gialla, che lascia il guano sui sassi, e il Martin pescatore.

Gufo realeMa come si può dimenticare la vita notturna: le Civette, gli Allocchi, i Barbagianni, i Gufi compreso il Gufo reale. Diciamo che  non sono facilmente osservabili! E poi ... troppo interessanti diventano le abetaie e i lariceti quando vengono visitati dallo Sparviero e dall’Astore, spesso e volentieri a caccia di uccelli. E come tralasciare i grandi spettacoli ai limiti del bosco? Gli stupendi maschi dei Fagiani di monte, dove i boschi aprono uno spiazzo, si esibiscono in lotte di grande effetto cromatico. 

Il Fagiano di monte o Gallo forcello è stato scelto come emblema del Parco Nazionale della Val Grande e frequenta le boscaglie di alta montagna con faggi, abeti e larici preferendo però quelle di conifere. La specie è stata purtroppo molto ambita dai cacciatori; la sua popolazione, sopravvissuta discretamente alla Gallo cedrone caccia, sembra stabile. Lo spettacolo del Gallo cedrone che è lì a becco aperto e collo teso verso l’alto, che fa la ruota mostrando i bellissimi riflessi del suo piumaggio non è purtroppo più osservabile in Val Grande; la specie è ora assente ma deve aver abitato queste zone almeno fino alla prima guerra mondiale secondo le testimonianze di alcuni cacciatori.

Gli uccelli riescono anche ad affrontare il gelo delle altitudini. Negli alti prati vivono il Fringuello alpino, dalla candida coda e dalle ali bianche e nere, il Sordone, un passeraceo bruno-grigio chiazzato di bianco che assomiglia alla Passera scopaiola e si rinviene soprattutto lungo le morene sassose, il  bel Picchio muraiolo. Quest’ultimo è un vero scalatore delle pareti rocciose a strapiombo sugli abissi nelle fenditure delle quali ricerca gli insetti e, d’estate, costruisce il nido con muschi e licheni. Sembra un topino grigio e nero che fa il sesto grado sui lastroni rocciosi, ora correndo, ora spiccando piccoli salti. Ma quando si alza in volo e mostra le ali di color cremisi vivo imperlate di candidi fiocchi sembra trasformarsi in una grossa stupenda farfalla. Ed ecco la Rondine montana e il Rondone alpino; quest’ultimo è ritenuto l’animale più veloce del mondo e può volare per ore e ore: è tutto ali! Di taglia più grande di una comune rondine ha la sagoma a forma d’arco, il ventre e la gola bianchi separati da una banda bruna, il corpo affusolato, il collo breve, le zampe corte con robusti artiglietti; emette una specie di fischio, uno strido che lacera l’aria mentre si sposta come un fulmine. Le sue prede alate sono di piccola taglia: mosche, zanzare, scarabei, cetonie, api e vespe; quando è bello il vento solleva questi insetti fino a centinaia di metri di altezza dal suolo e i rondoni si radunano in stormi a cacciarle. Se c’è cattivo tempo essi scendono negli strati più bassi dell’atmosfera e sorvolano terreni paludosi e alti pascoli per cibarsi di ragni, cavallette, piccole farfalle. In primavera e d’estate questi uccelli cacciano in alta montagna mentre d’inverno alcuni, come il Sordone, scendono più in basso nelle vallate ; altri, come il rondone, grazie alle robuste ali migrano a sud verso paesi caldi. Alcuni tra gli uccelli più grandi passano la maggior parte dell’anno sopra il limite della vegetazione arborea: così fa il Gracchio alpino, una sorta di corvo che rotea in gruppi numerosi attorno alle cime lanciando il suo caratteristico verso, uno stridulo gracidare. Se sono in arrivo perturbazioni atmosferiche i gracchi alpini smettono di volare in formazione e si raggruppano in grandi fessure della roccia. Al di sopra della propria testa può apparire il Corvo imperiale nero, molto più grande della solita cornacchia: la sua figura alata è imponente; è vigoroso con i suoi potenti battiti d’ala. Uccello molto longevo sembra incurante del vento che, anzi, sfrutta per planare e compiere notevoli evoluzioni sugli strapiombi, rigirandosi all’improvviso su se stesso. La Coturnice, rara, anche se sparsa su tutta l’area della Val Grande, è un galliforme appartenente alla famiglia dei Pernice bianca Fasianidi: fa voli bassi e brevi lungo il dorso della montagna e poi sparisce velocemente fra le rocce. Tetraonide fortemente adattato a vivere in ambienti a clima rigido è la Pernice bianca la cui caratteristica inconfondibile consiste nella capacità di mutare il piumaggio con le stagioni per rendersi mimetica con l’ambiente in cui vive. Così da novembre a marzo è completamente bianca, con l’eccezione delle penne timoniere scure. Le sue zampe sono ricoperte di piume e consentono all’uccello di camminare sulla neve senza affondare. Ama stanziare fra le rocce e costruire lì il suo nido; sopravvive bene sotto la neve nutrendosi di erba secca. La sua presenza in Val Grande è saltuaria.

Il gruppo dei Rapaci è ben rappresentato! La Poiana (“eula” in dialetto) è quella che vola a larghi giri in cielo quasi miagolando come un gatto; è specializzata nella caccia al marasso ma si ciba anche di topi e talpe. Se si vedono profilarsi lunghe ali triangolari, tese come una balestra, è un Falco in ricognizione. Il Gheppio, ad esempio, è un falchetto fulvo, grande come una tortora che ha il coraggio di sfidare, con l’aiuto di qualche compagno, un’aquila entrata nel suo territorio. E’ rinomato perché sa fare bene lo “spirito santo” cioè stare librato in aria senza spostarsi con le ali aperte e la coda allargata. Sembra appeso ad un filo! E poi ad un tratto precipita come un meteorite, con le ali strette ai fianchi fino al momento in cui, a pochi metri dal suolo, fa una grande frenata con le remiganti e protende gli artigli per prelevare e portarsi via la preda. Se poi si profilano in cielo due enormi ali con le remiganti allargate tanto da poter raggiungere i 3 m di apertura e lo spazio aereo sembra per la maggior parte occupato da una sagoma scura è comparsa la regina incontrastata delle alte vette: l'Aquila. E’ il simbolo delle altitudini alpine e, comeAquila il camoscio, non abbandona mai la montagna, neppure in inverno quando tutto è prigioniero del manto nevoso. Il suo volo è maestoso, le spirali larghe, le virate lente. Quando il sole scalda le rocce veleggia radente le pareti per sfruttare le correnti ascensionali. La specie è monogama e il territorio del Parco Nazionale della Val Grande ospita probabilmente una sola coppia di aquile, al massimo due, in quanto l’areale di ciascuna di esse ha una superficie che si aggira intorno a 100 Km2. Si possono avvistare giovani con fasce bianche molto evidenti sulla parte inferiore delle ali e della coda, discretamente numerosi, che però possono appartenere anche a coppie nidificanti nelle vicine valli svizzere. Sul testo di Teresio Valsesia è riportata la fotografia di un nido di aquila con i resti di un capretto scattata sulle Strette del Casè nel giugno 1970. L’autore le dedica un intero paragrafo nel suo libro.